venerdì 7 settembre 2012

L'altra faccia di Napoli - Mi piace la pizza ma l'amianto nun me piace


















In questi giorni di fine estate, la città di Napoli sembra alla ricerca del suo vero volto. Si moltiplicano gli sforzi da parte dell'amministrazione comunale per restituire alla città la sua vivibilità e il suo prestigio, senza dimenticare le sue tradizioni, come la pizza, protagonista di questa settimana con il Napoli Pizza Village. Ben vengano tutte queste iniziative ma non dimentichiamo che Napoli oltre alla faccia da cartolina, ha altre facce meno attraenti. Eppure con queste facce devono fare i conti i cittadini che ogni giorno vivono e lavorano a Napoli. Stavolta la mia attenzione è stata catturata dalla presenza di numerose e grandi tettoie di eternit che fanno bella mostra di sé nello spazio dell'ex mercato ortofrutticolo, a ridosso del Centro direzionale e del Palazzo del Tribunale. L'area è stata destinata ad accogliere un parcheggio autorizzato, con personale gentilissimo e affidabile che, sicuramente, non sa nemmeno del rischio che corre, così come tutti gli automobilisti, in gran parte lavoratori come me, che ogni giorno si servono di questo parcheggio, per altri aspetti comodissimo.



Io mi sono accorta della presenza dell'amianto oggi pomeriggio, dopo qualche giorno che sono cliente di questo parcheggio. Ho scattato alcune foto che non hanno bisogno di commenti e spero che l'autorità competente rimuova al più presto gli elementi in questione. Sarebbe inutile chiudere il parcheggio, visto che l'area è scoperta e basta un colpo di vento per mettere in circolazione le particelle del pericolosissimo materiale. Non tutti sanno che basta l'inalazione di un solo filamento di amianto perché il tumore possa svilupparsi anche a distanza di anni.


Mi chiedo anche come sia possibile che in tanti anni nessuno si sia accorto del problema e non sia intervenuto. A questo punto, non si può pensare di rimandare il problema e vorrei che questo mio breve pezzo possa essere diffuso in modo da raggiungere le autorità competenti in materia.
Per cui bando a inutili allarmismi ma si intervenga con la massima urgenza onde salvaguardare la salute di tutti i cittadini.




venerdì 13 aprile 2012

Ciao Giulio

Stavolta le mie parole saranno più strapazzate del solito perché è difficile esprimere il turbinio di sentimenti che affiora nel mio animo in questi giorni.




Giulio, anzi zio Giulio, è morto due giorni fa. In realtà dal punto di vista genealogico, era lo zio di mio marito, il fratello di mia suocera ma mi era molto caro. Aveva quasi novant'anni ed era malato da tempo immemorabile. Accudito amorevolmente da mia suocera è stato in questi 26 anni trascorsi da quando l'ho conosciuto, una presenza costante ma discreta.




Non lo vedevo spesso, anche il giorno di Pasqua, pur sapendo che le sue condizioni già gravi erano ormai critiche, non sono andata a fargli visita. Sono stata a casa dai miei suoceri e lui si trovava due piani più su, nella camera alta.




Un po' come quando sai che un bambino sta dormendo e non vuoi svegliarlo e lo lasci tranquillo perché quella è la cosa migliore per lui e volgi a lui il pensiero con tenerezza.




Giulio anche se aveva ormai quasi 90 anni era come un bambino. Sia perché invecchiando si torna un po' bambini, sia perché per le sue condizioni di salute andava assistito ed aiutato per qualunque cosa. Erano circa sei anni che non usciva di casa, era ormai cieco e costretto a letto per quasi tutto il tempo. Sei anni fa era stato malissimo, sul punto di morire, tanto che gli era stata praticata l'unzione degli infermi ma che solitamente viene chiamata estrema unzione. I medici in ospedale non davano nessuna speranza, si trovava in coma dopo un intervento con tutti i valori sballati. Eppure, si era svegliato dal coma, riprendendosi miracolosamente ed era tornato a casa.




Zio Giulio era una persona semplice, una delle persone più buone che abbia mai incontrato nella mia vita. Non gli ho sentito mai dire una parola negativa contro nessuno, non l'ho mai sentito lamentarsi per le sue condizioni di salute e certo che di motivi per lamentarsi ne aveva, avendo perso ogni residuo di autonomia.




Da tanti anni dipendeva in tutto e per tutto da mia suocera che in maniera esemplare lo accudiva con amore, occupandosi di lui con tutte le cure possibili.




Zio Giulio non era sposato, non aveva avuto figli ed era vissuto sempre in famiglia. Una persona semplice con una vita semplice ma che a me ha dato più lezioni di tanti professoroni o presunti tali che ho incontrato nella mia vita.




Forse è per questo che ieri durante i funerali e ancora oggi un fiume di lacrime mi sgorga dal cuore, da dentro, smuovendo i miei pensieri e sentimenti più profondi.








Zio Giulio incarnava moltissime virtù evangeliche: la mitezza, la pazienza, la letizia anche nella sofferenza, l'abbandono a Dio, la comunione continua con Lui, l'amore per il prossimo. Il tutto condito da un briciolo di ingenua ironia che lo rendeva anche simpatico.




Zio Giulio non questionava di ortodossia, non si poneva il problema di essere nel giusto se pregava il rosario o se sentiva Radio Maria. La sua fede lo accompagnava sin da bambino ed aveva accolto Gesù come un bambino e Gesù era con lui e in lui, senza alcun dubbio. Sono tanti i brani evangelici che sento di poter accostare senza alcun timore alla vita di zio Giulio.




A casa di zio Giulio, il tempo scorreva con ritmi diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati. La pulizia, le cure mediche, il pranzo e la cena. Durante la giornata si avvicendavano badanti, infermieri, medici, fisioterapisti in un clima di calma e di pace e su tutto lo sguardo vigile e le mani operose di mia suocera.




Nessun lamento, nessuna disperazione. Mai. Storie come quelle di zio Giulio sono storie che mandano in crisi anche i credenti più solidi.




In un certo senso, la scelta di Dio di lasciarlo in vita per tanti anni, nonostante le oggettive sofferenze è uno scandalo in senso evangelico.




Uno scandalo perché mentre gli anni si aggiungevano alla vita di zio Giulio, tante persone anche molto più giovani, con figli da mantenere, ci hanno lasciato e questo pone sempre dei perché senza risposta. Uno scandalo perché la vita di zio Giulio, pur con tutte le limitazioni della malattia e della vecchiaia è stata una vita dignitosa e pienamente vissuta fino alla fine. Uno scandalo perché ci mette di fronte ai nostri limiti: alla maggioranza di noi basta il minimo contrattempo per farci cambiare umore.




Quella sua stanza al quarto piano assomigliava molto a quella camera alta che ogni tanto compare nel Nuovo Testamento e in cui si svolgevano diversi episodi importanti.




Tutta la vita di zio Giulio si svolgeva nella sua camera da letto e i gesti che accompagnavano la sua quotidianità somigliavano un po' a dei veri e propri riti che non ammettevano distrazioni o superficialità. La stessa stanza era stata opportunamente adattata per poter svolgere al meglio tutte le operazioni.




L'ultima cena si volse in una certa camera che Gesù aveva appositamente preparato. Per la preghiera Gesù invitava ognuno a rinchiudersi nella propria cameretta e da lì pregare il Padre nel silenzio. Solo il Padre può sapere cosa succedeva in quella camera diventata sempre meno camera da letto e sempre più tabernacolo in cui un corpo debole e malato svelava la piena vita e la salute dell'anima. Un corpo che era diventato esso stesso preghiera, sacrificio e offerta al Dio vivente.




Anche dopo l'ascensione di Gesù, negli atti si legge che gli apostoli e Maria tornarono a Gerusalemme e salirono nella sala di sopra. Nella sala di sopra della sua casa era stata portata Tabità, morta e poi risuscitata da Pietro.




Io sono stata una semplice testimone silenziosa di questi fatti e non sono assolutamente in grado di comprenderli appieno ma sento il bisogno di fermare con la scrittura i pensieri che sgorgano dal cuore.




Ciao Giulio, hai lasciato un grande vuoto in tutti noi ma abbiamo la certezza che hai raggiunto la tua meta in paradiso.












venerdì 9 marzo 2012

Solamente me stessa






Io non sono le mie paure,

io non sono i miei dolori,

io non sono le mie angosce,

io non sono i miei affanni.



Io non sono i miei impegni,

le cose iniziate e lasciate a metà.

Non mi trovi nelle tante parole,

nella fretta di un supermercato.



Non mi trovi nelle camicie da stirare

né nei piatti da lavare.

Nemmeno nei lamenti per il tempo che passa.

né nella stanchezza della sera.



Oggi sono nel vento che spazza le nuvole,

nel profumo del caffè al tuo risveglio,

nella musica che ti accompagna in auto,

nel silenzio che accarezza un ricordo.




Io sono quella che sono,

solamente me stessa, a volte diversa.

Sono una donna e sono fatta

della stessa essenza della vita.





























venerdì 10 febbraio 2012

Scappa o combatti




È la legge della natura scritta nel nostro codice genetico. Si tratta del meccanismo che ci ha consentito di sopravvivere e di evolverci. Di fronte al pericolo abbiamo due possibilità, combattere o scappare. Il nostro DNA è attrezzato per questo: l'adrenalina va in circolo, il cuore batte più forte e pompa più sangue, i muscoli si contraggono e la scelta è frutto dell'istinto e dell'esperienza.


I nostri antenati vivevano quotidianamente situazioni in cui applicare il fight or flight, scappa o combatti, e reagire nel modo giusto faceva la differenza tra soccombere o sopravvivere.


Oggi non viviamo più nella giungla per cui i nostri nemici non sono le bestie feroci o gli indigeni della tribù ostile, eppure, il meccanismo è rimasto intatto e spesso scatta anche nei confronti di quello che a prima vista non definiremmo come nemico.


Sarà per questo che siamo sempre più stressati e, nello stesso tempo, cerchiamo di combattere un po' tutto. Lottiamo contro i chili di troppo e contro le rughe, combattiamo il caldo e poi il freddo. Lottiamo contro l'automobilista che ci ha rubato il parcheggio o contro il vicino di casa che spara la musica a tutto volume. E poi contro il partner, la suocera, il capo, l'orologio, il tran tran quotidiano, il sistema. E l'elenco potrebbe essere infinito.


A un certo punto, il meccanismo Scappa o Combatti scatta anche quando non c'è bisogno e quando non ce ne accorgiamo. E questo è lo stress.


Il logorio della vita moderna, si diceva in una famosa pubblicità. Bisognerebbe sviluppare un nuovo modello di vita che ci consenta di rispettare i nostri ritmi, le nostre esigenze, i nostri spazi.


Siamo esseri umani non robot e ogni tanto prendiamoci cura di noi, concedendoci il meritato relax.




venerdì 20 gennaio 2012

LA VACANZA E IL VIAGGIO. LA SICUREZZA E L’AVVENTURA.






La nostra epoca è l’epoca dei grandi viaggi di massa. Il consumismo non conosce frontiere e si muove con ogni mezzo. Complici le formule low cost, last minute, prenota prima paghi meno, ecc., viaggi da favola sono diventati alla portata di tutti, giovani e vecchi, ricchi e meno ricchi in ogni periodo dell’anno. Non voglio esprimere giudizi su questo, se sono contenti loro, ben venga.
Eppure, le tragiche notizie del naufragio della nave Concordia della Costa Crociere di questi giorni ci inducono a diverse considerazioni. È ancora vivo il dolore per la perdita di vite umane in circostanze ancora poco chiare ma nella mente balenano anche altri pensieri.
Un tempo viaggio ed avventura andavano di pari passo e il rischio era il terzo ingrediente da mettere in conto. I diari di viaggio di naviganti, nemmeno tanto lontani nel tempo, erano affascinanti proprio perché ogni tappa era costellata da colpi di scena, rappresentati da tempeste, pirati, mostri marini e arrivare sani e salvi non era scontato. D’altro canto i pericoli fanno parte della vita di ogni giorno e anche i luoghi e le situazioni che ci sembrano più sicure possono nascondere rischi ed insidie. Perfino tra le pareti domestiche non si contano gli incidenti che provocano numerose vittime e feriti ogni anno ma non fanno notizia, non possono fare notizia. Se veniamo a sapere della casalinga che è precipitata dalla finestra mentre lavava i vetri o che è rimasta ustionata dall’olio bollente, dopo cinque minuti l’abbiamo già dimenticato.
E, invece, se naufraga una nave da crociera con 4000 persone a bordo, incagliata su uno scoglio mentre le stesse andavano a divertirsi, è impossibile non rimanere attaccati al televisore o incollati al giornale che riporta le notizie. I media sanno questo e, con buona pace del diritto all’informazione, ci marciano alla grande. Io per prima, pur essendo ormai immune a Porta a Porta, sono rimasta ipnotizzata dalla melliflua voce di Bruno Vespa che intervistava sopravvissuti e sommozzatori.
È inevitabile, sono troppi gli ingredienti che si mescolano in queste storie. Le grandi e lussuose navi da crociera, rese popolari da serie televisive i cui protagonisti appaiono sempre brillanti, mai stanchi o in pericolo. Il mito rassicurante del capitano coraggioso, disposto a sacrificare la propria vita per l’equipaggio e per i passeggeri, si è infranto sugli scogli del Giglio mostrando la debolezza dell’uomo e l’incapacità del ruolo. E, infine, l’archetipo dell’abisso che inghiotte le persone, immagine ricorrente negli incubi di noi tutti, è affiorato in tutta la sua drammaticità mettendoci di fronte ai nostri limiti e alle nostre paure.
Per quanto il progresso possa aver fatto passi da gigante, c’è sempre l’imprevisto dietro l’angolo. L’allarme che non funziona, il sistema automatico che tanto automatico non è, le luci di emergenza che non si accendono, la radio che non trasmette, l’errore umano.
Basta un niente, anche meno, e all’improvviso tutto cambia. Credo che per un po’ di tempo guarderemo con occhi diversi questi giganteschi condomini del mare. A dire la verità, io li ho sempre trovati un po’ kitsch, con tutti quei lustrini, quelle luci, dove tutto assume proporzioni immense. L’idea di spostarsi e di avere a disposizione su un mezzo di trasporto tutto quanto sia pensabile per il divertimento, per il comfort e per la distrazione va un po’ contro quella che è la mia idea del viaggio. Galleggiare sull’acqua è diverso da navigare.
Il vero viaggiatore è spinto da un’esigenza di conquista e di cambiamento che nessun crocerista potrà mai comprendere. Il rapporto tra l’uomo e il mare risponde a leggi e regole antichissime, una sfida che si basa sul rispetto e sulla conoscenza, che non può mai cedere il passo a distrazioni o frivolezze. Anche se si è a bordo di un gigante, anche se la tecnologia sembra farla padrone, il padrone è sempre lui e rimane sempre lui, il mare.

giovedì 29 dicembre 2011

La Dietetica Commedia


Siamo agli ultimi bagordi dell'anno, dopodiché ci toccherà pentirci e iniziare l'ennesima dieta post festività. Stare a stecchetto può essere una tragedia o una commedia.
Anche se "semel in anno licet insanire", chiedo scusa al Sommo Poeta per la parodia...

LA DIETETICA COMMEDIA
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la linea mia era smarrita.

Ahi quanto grassa era la figura
vestivo ormai una taglia forte
che decisi una dieta da paura!

Tant'è amara che poco più è morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' ingrassai,
tant'era pien di fame a quel punto
che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui più satolla giunta,
là dove degli orti era la valle
dalle minestre non colsi niuna spunta

guardai ben oltre, vidi due spalle
appese già ne' ganci di bottega
che menar dritto non potei: aridalle!

Allor fu la fame un poco queta
che nel pieno addome era durata
la notte ch'i'passai senza la dieta.

E come quei che con lena affamata
uscita del digiuno ve’la ribollita
si volge a lei ed è bell’e mangiata

con lo stomaco mio, ch'ancor digeriva,
mi volsi a retro a rimirar lo grasso
che non lasciò già mai persona viva.

Poi ch'ei posato un poco il corpo lasso,
ripresi idea per la dieta incerta,
sì che l’umore sempre era 'l più basso.

Ed ero, quasi da dietista esperta,
una lonza leggiera e gustosa molto,
che di bei aromi era coverta;

e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.

Temp'era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
che cominciai a sentir un languorino

un morso prima a quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
a quel profumo non stavo nella pelle

l'ora del tempo e la fredda stagione;
ma non sì che voglia non mi desse
l’idea che m'apparve d'uno zampone.

Questi parea che sazia me volesse
con lenticchie e con rabbiosa fame,
sì che il purè insieme le tenesse.

Ed il vino, che di tutte brame
sembiava dolce ne la sua ebbrezza,
e molte genti fé già viver grame,

questo mi parse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di mia vista,
ch'io perdei la speranza di magrezza.

E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;

tal mi fece la fame sanza pace,
che, vedendomi obesa a poco a poco
mi rimpinguavo là dove 'l sol tace.

Mentre ch'i' rovinava in grasso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantecavan la panna ambedui.

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l grasso Augusto
nel tempo de li piatti forti e gagliardi.

Poeta fui, e cantai di quel gusto
del cuoco famoso che venne di Troia,
poi che 'l superbo jambon fu combusto.

Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».

«Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di vinello sì largo fiume?»,
rispuos'io lui con vergognosa fronte.

«O de li altri poeti onore e lume
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.

Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore;
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello gusto che m'ha fatto onore.

Vedi la lonza per cu' io mi volsi:
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».

«A te convien tenere altro viaggio»,
rispuose poi che salivar mi vide,
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio:

ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo seduce che l'arride;

e ha natura sì gustosa suvvia,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto hai più fame che pria.

Molti son li alimenti a cui s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin 'l colesterolo
verrà, che ti farà morir con doglia.

Quindi non prenderai lonza e barolo,
ma sapienza, amore e virtute,
e colazion farai con un ovo solo.

In quest’umile dieta c’è salute
per cui nemmeno una mezza Cammilla,
o le speranze di linea son perdute.

Questa seguirai per ogne villa,
fin che l'avrai rivisto lo tuo sterno,
là onde poggia quella spilla.

Ond'io per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per magro etterno;

ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda torta ciascun grida;

e vederai color che son contenti
nel poco, perché speran di sentire
un’ala di polletto sotto li denti.

A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fina a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;

ché quello cucinier che là sù regna,
perch'i' fu' ribellante a la sua legge,
non ama la gran pizza cotta a legna.

In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e il ParmaReggio:
oh felice colui cui dà le schegge!».

E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
per quell’adipe che tu non conoscesti,
acciò ch'io fugga questo male e peggio,

che tu mi meni là dov'or dicesti,
sì ch'io mangi l’orata e il sanpietro
e color cui tu cotanto rimesti».

Allor si mosse, e io li tenni dietro.

venerdì 23 dicembre 2011

Quelle 4 mura: una letterina speciale per Babbo Natale


Si dice che un'immagine efficace valga più di mille parole. In questo caso, parole e immagine sono in piena sintonia.
C'è poco da aggiungere a questa letterina a Babbo Natale, lasciata sull'albero di Piazza Garibaldi, tra tante altre.
Un ragazzo o una ragazza, la grafia in stampatello, garanzia di anonimato, e quella frase difficile da digerire, anche prima del cenone: QUELLE 4 MURA.
Tra quelle quattro mura non è rinchiuso solo un uomo che ha sbagliato ma è rinchiuso un padre che ha sbagliato. Tra quelle quattro mura sono stati imprigionati pure i sogni di un figlio o di una figlia che deve affrontare una realtà difficile da accettare.
Caro Babbo Natale, vorrei aggiungere anch'io una richiesta a questa letterina: che le colpe dei padri non ricadano sui figli. Caro Babbo Natale aiuta questo ragazzo a sopportare il dolore per un vuoto difficile da colmare e che per molti è un marchio d'infamia. C'è un Padre che veglia anche su chi un padre non ce l'ha o è come se non l'avesse. A questa speranza affido la mia preghiera.
Buon Natale affinchè sia un Natale buono per tutti